Spinosi,Landini e Capello ceduti alla Juve

I gioielli se ne vanno

Era una stagione così, nata per i piedi, cioè strana e tumultuosa. Già c'era stata una mezza rivoluzione. Migliaia di tifosi avevano minacciato di incatenarsi, quando era stato ceduto De Sisti, qualche anno prima. Un'eco enfatica di quelle proteste era rimasta, nell'ambiente romanista, e adesso tornava a farsi sentire. Tra indiscrezioni e pettegolezzi, tra bugie e verità, tra notizie confermate e giuramenti che smentivano, cioè in una situazione da Foro Boario, incompatibile con la severità del carattere di Marchini -e questo dimostrava che ad un avveduto imprenditore non sempre corrisponde un illuminato dirigente sportivo, e che il calcio richiede comunque un lungo praticantato -la Roma aveva preparato la cessione alla Juve di quelli che venivano chiamati «i gioielli» giallorossi, vale a dire il terzino Luciano Spinosi, il centrocampista Fabio Capello, l'attaccante Fausto Landini. La reazione dei tifosi fu violenta: ci furono bandiere e tessere bruciate allo stadio, minacce di diserzione, rinnovate proteste sotto la sede sociale. Il Corriere dello Sport aveva titolato: «Se cedete i gioielli vi spareremo dai tetti». Ma i gioielli erano partiti. Alvaro Marchini perse, in quel momento, l'appoggio dei tifosi; e intanto si approfondiva il suo dissidio con Herrera, di carattere soprattutto ideologico: il presidente non sopportava gli aspetti donchisciotteschi della personalità dell'allenatore. In definitiva, Marchini era un presidente isolato, e tra poco se ne vedranno le conseguenze. Inutile dire che anche la partenza dei «gioielli» provocò una guerra di trincea, tra presidente e allenatore: Marchini diceva che H.H. aveva approvato l'operazione, il mago invece andava gridando al tradimento. La Roma ebbe dalla Juve, oltre ai soldi, un grande campione ormai estenuato, che cercava ancora trionfi ma anche riposi: lo spagnolo Dal Sol. Era stato un faticatore straordinario. Poi due giocatori uno più lunatico dell'altro: il centrocampista avanzato Bob Vieri, un virtuoso un po' narcisista, e l'attaccante Zigoni, rapido e imprevedibile. Quando capì che le cose buttavano male, Alvaro Marchini tentò di calmare la piazza e ingaggiò il brasiliano Amarildo, dalla Fiorentina. Amarildo era il ragazzo sfacciato che ai mondiali del Cile non aveva fatto rimpiangere Pelè. Ma anche lui, il meglio lo aveva già dato. Come se tutte queste turbolenze non avessero sufficientementeagitato il cielo romanista, Marchini aveva provocato una vera tempesta polemica quando la Roma era stata sconfitta dalla Juve, il 29 novembre 1970, ottava giornata di campionato. Marchini scontento dell'arbitraggio, disse che Francescon era arrivato a Torino in treno e era ripartito su una Fiat. Fu squalificato. Quel tribolato campionato, finì con la Roma al sesto posto. Niente di nuovo sotto il cielo giallorosso. AI filo del racconto, manca quello che era accaduto nella stagione precedente, 1969/70, seconda dell'era herreriana. Era partito Losi, erano arrivati il centravanti Cappellini, un altro ragazzo interista che Herrera aveva voluto, il difensore Petrelli e il centrocampista Franzot. Niente che facesse storia, a parte l'accorato addio di Giacomino Losi, davvero un grande amico perduto di vista. Dunque, Herrera aveva resistito alla tempesta romana due stagioni e mezza. Ottavo e undicesimo posto: una micragna. Adesso se n'era andato. Beh, questo lo credete voi. Perchè il Mago, nella sua villa sull' Aventino, era ancora in agguato.

Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport

 

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